Non posso farci niente: quando trovo una parola straniera usata alla carlona in un testo in italiano mi salta la vena. Soprattutto quando l’errore spunta dalle pagine di una testata nazionale o su un profilo social seguito da migliaia di persone.

Perché gli errori-orrori di scrittura si propagano alla velocità della luce e dopo un po’ si finisce con il non farci neanche più caso, perché tanto “basta che si capisca” e “fatto è meglio che perfetto”, no?

Beh, non proprio.

Esprimersi correttamente anche nella forma è una questione di rispetto.

Nei confronti di chi legge innanzitutto, perché un testo infarcito di errori è molto più difficile da seguire e da capire. Ma anche di te stesso e del tuo ragionamento, perché ti assicura di dire esattamente ciò che vuoi dire e riduce il rischio di incomprensioni o interpretazioni errate.

Allora, dai, facciamo chiarezza.

 

Parole straniere nell’italiano: come usarle senza scivoloni

Secondo alcuni, i forestierismi sono brutti e superflui a prescindere. In realtà, l’adozione di termini stranieri in una lingua è un fenomeno naturale. Le lingue viaggiano insieme alle persone che le parlano e con loro si muovono anche conoscenze, costumi, tecnologie e usanze che hanno un proprio nome.

I prestiti linguistici, dalle parole intraducibili ai termini specialistici delle diverse discipline, sono il risultato di incontri e scambi culturali che sono alla base dell’esperienza umana e senza i quali il nostro mondo non sarebbe lo stesso.

Inoltre, in tanti casi i forestierismi sono davvero utili perché permettono di trasmettere i concetti in modo più preciso e sintetico. Un esempio su tutti? La call, la riunione a distanza tramite videochiamata.

Non esistono parole o espressioni brutte o sbagliate in sé.

Tutto dipende da come le usiamo.

Per fortuna, la nostra lingua ci fornisce tutto ciò che serve per adottare parole straniere nei nostri discorsi senza sbagliare.

 

Maschile o femminile?

So che parlare di genere delle parole in quest’epoca rischia di sollevare polveroni a non finire. Ma non è questa la mia intenzione. Quello che voglio darti è invece una risposta chiara a dubbi del tipo: ma si scrive il copy oppure la copy? E con customer journey come la mettiamo?

Di norma, quando una parola straniera entra nell’italiano il suo genere non cambia. Se è femminile alla fonte resta femminile, se è maschile rimane tale. I termini che nella lingua d’origine sono di genere neutro diventano invece maschili.

Per le parole che arrivano dall’inglese la faccenda è un po’ diversa. Il genere delle cose si assimila a quello del termine italiano corrispondente.

  • Il customer journey è maschile (il viaggio del cliente).
  • Il brand è maschile (il marchio).
  • La brand identity è femminile (identità di marchio/di marca).
  • Il copy nell’accezione di contenuto è maschile (il testo pubblicitario/promozionale).

I termini che descrivono persone o animali mantengono invece il genere della lingua d’origine. È il motivo per cui parlando di un copywriter puoi dire sia il copy (se è un uomo) sia la copy (se è donna) senza paura.

Esistono poi le eccezioni e le zone d’ombra.

È il caso ad esempio del content audit, la revisione dei contenuti: per la regola che abbiamo visto sopra sarebbe femminile, tuttavia i termini auditing/audit si usano al maschile in italiano e questo si riflette anche sui loro composti.

Anche le/gli ads di Facebook e Google possono dare qualche grattacapo, perché la parola “ad” (che è la contrazione di advertisement) può essere tradotta sia con annuncio (e quindi gli ads) sia con inserzione (quindi le ads). In questo e in altri casi in cui il genere della parola non è ancora consolidato nella nostra lingua, sarà l’uso nel tempo a determinare quale versione prevarrà. Nel frattempo puoi tirare un sospiro di sollievo, perché entrambe le forme sono accettabili.

 

Singolare o plurale?

Nei testi in italiano, le parole straniere vanno di norma al singolare. Quindi puoi scrivere con orgoglio di aver raggiunto i 10.000 follower (non followers) e anche di aver inviato 37 curriculum (anche se la questione è ancora dibattuta).

Anche qui però ci sono le eccezioni (quando si parla di scrittura è meglio farsene una ragione). Se il termine è arrivato a noi nella forma plurale, come ad esempio le fake news, allora resta al plurale.

 

Le parole straniere vanno scritte per forza in corsivo?

No! Anzi: l’uso del corsivo è quasi un’eccezione.

Se la parola straniera che vogliamo usare è ormai consolidata nell’italiano, come business o souvenir o newsletter, si scrive normalmente. Così come anche i forestierismi che appartengono al linguaggio settoriale di una disciplina (come buyer persona, multichannel marketing o storytelling) quando vengono utilizzati nel contesto di origine.

Il corsivo si riserva alle parole straniere poco usate oppure ai forestierismi del linguaggio tecnico riportati in un testo rivolto a un pubblico generale.

 

Posso usare le virgolette anziché il corsivo?

No.

 

Come mi comporto con le maiuscole?

Sapevi che l’uso corretto di maiuscole e minuscole ha un forte impatto sulla leggibilità e la comprensione di un testo? Le maiuscole, come anche la punteggiatura, sono come segnali stradali per il nostro cervello e ci aiutano a orientarci sia nella forma sia nel contenuto di uno scritto.

Alcune lingue come l’inglese o il tedesco prevedono un uso molto più ampio delle maiuscole rispetto alla nostra. Tuttavia quando usiamo parole straniere nell’italiano dobbiamo seguire le regole della lingua italiana, che prevede l’uso della maiuscola solo:

Tutto il resto – aggettivi, verbi, pronomi, avverbi eccetera – va in minuscolo.

 

Le norme di buon senso

Le parole sono strumenti del nostro pensiero. Ancora prima di occuparsi di come scriverle in modo corretto, bisogna sceglierle con cura per poter esprimere la propria idea in modo efficace.

Ecco allora qualche norma di buon senso per capire quando è opportuno usare parole straniere nell’italiano e quando invece puoi farne a meno.

 

1. Quando è possibile, scegli l’italiano

Come dicevo sopra, i forestierismi sono una risorsa. Tuttavia, un testo in italiano farcito di parole straniere sarà sicuramente più faticoso da seguire perché il passaggio da una lingua all’altra costringe il cervello a un bel po’ di lavoro extra – anche se ormai siamo così abituati a fare lo slalom tra gli anglicismi da non rendercene nemmeno conto.

Come suggerisce Luisa Carrada in Guida di stile (Zanichelli, 2017), se in italiano esiste un’alternativa a una parola straniera, è bene usarla. A patto che sia “plausibile, ampiamente usata nella nostra lingua, non obsoleta o antiquata” – altrimenti si scivola nel ridicolo e nel rischio di incomprensioni.

 

2. Occhio al contesto

Se sei in dubbio tra usare o non usare un termine straniero mentre parli o scrivi in italiano, considera sempre il contesto della comunicazione.

Torniamo all’esempio della call. In un ambito professionale, dove tutte le parti in causa sanno di cosa si sta parlando, dire “fissiamo una call” ha perfettamente senso. Se invece vuoi fare una videochiamata a sorpresa a nonna Adalgisa, le cose cambiano.

 

3. Attenzione ai calchi morfologici

Se è vero che usare parole straniere nell’italiano non è reato, è altrettanto vero che i calchi spesso lo sono.

Cosa sono i calchi? Tutti quei neologismi che vengono formati plasmando la parola italiana sulla base della lingua di provenienza del termine che si vuole importare.

Anche questo è un processo normale. La lingua italiana ha accolto nel tempo tanti calchi che sono diventati di uso comune come grattacielo, pallacanestro o fuorilegge. Curiosamente, anche la parola calco usata nell’accezione linguistica è un calco: l’abbiamo adottata dal francese calque.

Tuttavia, non tutti i calchi sono uguali e alcuni calchi morfologici nascono semplicemente per pigrizia. Quante volte hai sentito dire “siamo un’azienda con base a Milano”?

Ecco: “con base a” è un calco che deriva dall’espressione inglese “base in”. E non ha alcuna ragione di essere, perché in italiano esistono già diversi modi per dire la stessa cosa in modo più fluente e piacevole:

  • La nostra azienda ha sede a Milano.
  • I nostri uffici sono a Milano.
  • La sede centrale è a Milano.

Che dire poi di mostruosità come forwardare (inoltrare), matchare (abbinare o mettere in relazione), schedulare (programmare) e compagnia briscola? Vedi anche tu che non ce n’è bisogno.

 

4. Controlla sempre ortografia e significato

Anche se tutte le applicazioni di scrittura hanno un correttore ortografico integrato, la santa protezione della tecnologia non si estende in automatico ai forestierismi, che vengono segnalati di base come errati (ad eccezione di termini di uso già consolidato nella lingua italiana).

Per andare sul sicuro, controlla su un dizionario in lingua l’ortografia dei prestiti che vuoi utilizzare. Sì, anche gli accenti. E già che ci sei, dai un’occhiata anche al significato esatto per non cadere nella trappola dei falsi amici o della traduzione a spanne.