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Le lingue artificiali hanno un fascino tutto particolare. E nei secoli ne sono state create centinaia, per i motivi più disparati.

Ci sono ad esempio le lingue filosofiche, progettate per riflettere e rafforzare alcuni aspetti o principi chiave di una determinata filosofia. O per verificare teorie sui meccanismi del linguaggio – come nel caso del láadan, creato da una professoressa di linguistica per mettere alla prova l’ipotesi di Sapir-Whorf.

Come dimenticare poi le lingue artistiche, di cui l’industria dell’intrattenimento sembra non poter più fare a meno. Grammatiche e dizionari immaginati per conferire spessore e realismo alle ambientazioni di romanzi, film e serie TV. In questo campo J.R.R. Tolkien ha fatto scuola ma gli esempi sono davvero molti, dal serpentese del mondo di Harry Potter al fiero klingon.

Ma il motore che ha dato la scintilla al maggior numero di lingue artificiali è il bisogno più antico del mondo: comunicare, anche con persone che non appartengono alla nostra comunità linguistica.

Le lingue ausiliarie nascono proprio per facilitare lo scambio e la condivisione tra popoli che hanno una lingua in comune. Tra queste, quella che ha avuto maggior fortuna è l’esperanto, sviluppato dal medico polacco L. L. Zamenhof a partire dal 1870 circa. Tuttavia, tra Ottocento e Novecento la spinta alla creazione di una lingua franca autenticamente neutrale ha dato vita a decine di lingue ausiliarie.

Alcune di queste hanno storie molto particolari. Qui ne trovi tre, create a cavallo tra i due secoli.

Solresol

Il Solresol si basa sulle note della scala musicale occidentale. È stato sviluppato nel secondo decennio dell’Ottocento da Jean-François Sudre, violinista e compositore francese.

Sudre aveva un obiettivo ambizioso: creare una lingua musicale universale, che permettesse di comunicare in qualsiasi contesto e tramite qualsiasi mezzo. Il Solresol infatti può essere parlato, suonato ma anche scritto in diversi modi:

  • su pentagramma
  • trascrivendo le note in alfabeto latino
  • sostituendo le note con numeri

… e persino dipinto, sostituendo le note musicali con i colori dell’arcobaleno.

Al culmine del suo sviluppo, il vocabolario del Solresol arrivò a contenere 2260 parole. Tuttavia, la struttura di questa lingua rendeva difficile separare chiaramente i vocaboli, e per questo motivo ebbe una diffusione molto limitata.

Volapük

Nel 1879 Martin Schleyer, sacerdote cattolico tedesco, pubblicò sulla rivista Sionscharfe un articolo sul Volapük, una lingua da lui stesso ideata. L’anno successivo formalizzò in un libro questa nuova lingua, che ebbe subito un grande successo a livello internazionale.

In pochi anni, infatti, nel mondo furono fondati oltre 250 circoli di sostenitori del volapük. Si stima, inoltre, che nel periodo di maggior diffusione fosse parlato da oltre 100.000 persone.

Schleyer puntava a creare una lingua facile da imparare, che permettesse di comunicare in modo chiaro e preciso. Ne risultò una lingua agglutinante sostenuta da un insieme complesso di regole grammaticali, con quattro casi per i sostantivi (nominativo, accusativo, genitivo e dativo), sei tempi ed otto modi verbali.

Come a volte accade nella Storia, i sostenitori della diffusione del volapük iniziarono a dissentire tra loro. Questo, insieme al parallelo sviluppo di altre lingue ausiliarie e in particolare dell’esperanto, segnò il declino di questa lingua. Tuttavia, il volapük non è scomparso: ancora oggi esiste un’Accademia internazionale (con otto membri) che mira a sviluppare ulteriormente la lingua.

Per i più curiosi c’è Vükiped, la versione in volapük di Wikipedia.

Latino sine flexione

Ideato nel 1903 da Giuseppe Peano, matematico piemontese con il pallino della semplicità, il Latino sine flexione ebbe discreta fortuna nell’ambiente scientifico. Complice anche un’astuta operazione di marketing con un tocco di copywriting da maestro.

Affascinato ed ispirato dall’idea della characteristica universalis di Leibniz, Peano creò una versione estremamente semplificata del latino classico. Eliminò casi e generi, ridusse al minimo l’uso di coniugazioni e declinazioni, abolì moltissime regole grammaticali. Poi, per presentare la sua lingua ausiliaria al mondo, scrisse un articolo in cui spiegava, passando progressivamente dal latino classico al sine flexione, i principi della nuova lingua.

L’impresa linguistica di Peano rispondeva ad un problema reale. Il latino aveva perso il suo scettro di lingua internazionale nell’ambiente scientifico. Gli accademici, quindi, avevano sempre più difficoltà a leggere e comprendere le ricerche, pubblicate in molte lingue nazionali diverse. In pochi anni, il latino sine flexione si affermò a livello internazionale, arrivando sulle pagine delle riviste scientifiche e nei congressi.

Tuttavia, la sua fortuna scemò velocemente dopo la morte del suo creatore, avvenuta nel 1932.